Distanza tra Auschwitz e Birkenau, campi degli orrori

distanza tra Auschwitz e Birkenau

La distanza tra Auschwitz e Birkenau ti lascia indifferente, sono solo tre chilometri di forti emozioni.

Gli ingressi ad Auschwitz e Birkenau li abbiamo prenotati  on line dal sito ufficiale.

I controlli sono molto accurati ed è assolutamente vietato entrare con zaini, zainetti e borse che superino la misura di 20x30x10 cm; per evitare di essere costretti a lasciare la propria borsa al deposito bagagli a pagamento, è consigliabile lasciare i propri bagagli in auto o nel Bus, portando con se, a mano, le macchine fotografiche e le altre cose indispensabili.

Abbiamo noleggiato un bus tramite l’app GetTransfer che da Cracovia ci ha portato prima ad Auschwitz e dopo Birkenau.

Con la guida ci siamo diretti verso il primo campo di concentramento, quello di Auschwitz, fondato nel 1940 nelle sale di una vecchia caserma.

I polacchi furono i primi prigionieri  inviati nei campi di concentramento per poi essere fucilati. La carcerazione dei polacchi fu motivata dal’ idea tedesca di appropriarsi del territorio.

Inizio’ poi la deportazione degli ebrei da ogni parte del’ Europa, la loro colpa? Essere bravi commercianti e ricchi, diversi rispetto alla popolazione tedesca che invece in quel periodo pativa la fame.

Da campo di concentramento,  Auschwitz divenne campo di sterminio.

Intere famiglie ignare della loro sorte, portavano con se i propri averi, lo stretto indispensabile per iniziare una vita in un posto che li accoglieva con questa scritta: ARBEIT MACHT FREI.

Cosa significava?  Il lavoro rende liberi.

 

Ora entrate con me nella prigione degli orrori come turisti, ma cercando di immaginare l’arrivo degli ebrei  dopo giorni e giorni di viaggio, rinchiusi in vagoni provenienti da altre nazioni, senza nemmeno avere lo spazio per sedersi, costretti a perdere anche il minimo di dignità per espletare i bisogni fisiologici.

 

 

Dopo esser scesi dal treno con la propria valigia, stremati ma felici di vedere la luce, iniziavano a respirare l’aria che odorava di strano, un odore misto tra acre e dolciastro.

 

 

In lontananza del fumo che usciva dai comignoli…Forse delle fabbriche pensavano, forse dei forni dove si cucina…

 

No, niente di tutto questo. Il fumo veniva dai corpi bruciati nei forni crematori.

Appena arrivati le SS facevano la prima selezione: anziani, bambini, malati direttamente a fare la doccia, giovani e gente in buona salute veniva dapprima registrata, tatuata col numero identificativo, svestita dei propri indumenti e rivestita con le divise a righe. Tali divise ovviamente erano le stesse che venivano riutilizzate dopo la morte di altri.

 

Gli anziani, bambini e malati vi ho detto che andavano a farsi la doccia?

Con calma venivano accompagnati in queste stanze adibite a tale scopo, nudi, si consegnavano delle saponette, sempre i soldati si raccomandavano di non dimenticare il posto dove veniva lasciato il vestiario per non creare confusione e davano il via all’esecuzione più crudele e di massa attuata nella storia dell’umanità.

Da dei fori veniva buttato il veleno  Zyklon B, 20 minuti per far morire  asfissiati centinaia di persone.

Era compito degli ebrei destinati ai lavori forzati recuperare i corpi, tagliare loro i capelli, togliere i denti d’oro e portarli nei forni crematori.

I capelli venivano raccolti e imballati per poi essere usati come imbottitura per cuscini e materassi, le ceneri per concime, i denti d’oro insieme agli indumenti contenuti nelle valigie  inviate in Germania per le famiglie bisognose.

 

Il lavoro era duro, dalla mattina presto fino alla sera tardi. Freddo, cibo carente e infezioni erano altro motivo di morte.

La notte dormivano ammassati gli uni agli altri scaldati leggermente da coperte piene di pidocchi e per non perdere il posto erano costretti a fare i bisogni fisici sul letto stesso.

 

L’ambiente era pieno di ratti.

“Il cadavere era terribilmente magro. Gli occhi spalancati erano rivolti al cielo. Sulla parte superiore del viso si scorgeva una ferita grande e spaventosa. Anche sul ventre. Si trattava del primo cadavere che vadevo ad Auschwitz. “Che cos’è questo? Che le è successo? Come mai tali ferite?” – domandai, “Sono stati i topi” – mi rispose tranquillamente un’infermiera. “E’ morta ieri sera, e siccome è rimasta qui tutta la notte, i topi ne hanno approfittato.””

La gente sopravviveva, erano morti che camminavano. Durata media di vita nel campo 2/3 mesi.

Il blocco n. 11 era chiamato “Il blocco della Morte”,  isolato, chiuso sempre a chiave e denominato prigione del campo.

I condannati dovevano spogliarsi e a due a due arrivare presso “Il Muro della Morte”. Qui venivano uccisi i prigionieri del campo.

Come negli altri campi, anche ad Auschwitz i medici delle SS, facevano esperimenti sui prigionieri. Tra i più atroci quelli del dottor Carl Clauberg, per definire un sistema che consentisse di rendere infeconde le donne ebree e rom.

Il primo campo non basto più, la poca distanza tra Auschwitz e Birkenau fece si che si costruì  l’altro campo solo di sterminio  che in parte fu raso al suolo prima dell’arrivo delle truppe sovietiche per la liberazione, era il 27 Gennaio 1945.

Sono passati 75 anni da allora, sono stati fatti processi e espletate condanne,  circa un milione e centomila ebrei tra adulti e bambini morti (230.000 bambini e adolescenti).

Dopo la visita ai campi di Auschwitz e Birkenau eravamo senza parole.

Le lacrime scendevano da sole mentre guardavamo le teche con le foto, le scarpette dei bimbi.

Chiedo perdono in quanto essere umano, in quanto ipoteticamente capace di fare queste atrocità.

 

Annalisa

Annalisa classe ‘77, salentina doc. Lavoro per un’azienda pubblica. Mamma e moglie sopra le righe.

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